Scritto da Roberto Cippone
People. Planet. Prosperity. Sono
queste le tre colonne portanti del 22esimo Rapporto annuale Responsible Care, il Programma
volontario di promozione dello Sviluppo Sostenibile nell’Industria Chimica mondiale
avviato nel 1984 in Canada e l’anno successivo in Europa. Tre “p” lungimiranti
che oltrepassano i confini delle grandi aziende chimiche per influenzare le
decisioni delle imprese manifatturiere di tutto il mondo, volenterose di
migliorare la loro performance ed incrementare la loro competitività seguendo
il nuovo paradigma della “economia circolare”.
La prima questione da prendere in
considerazione si riferisce alla “avversione al cambiamento” che generalmente
rallenta l’innovazione dei processi produttivi e decisionali in ambito
economico.
Infatti, molto spesso l’ingresso
della chimica nei meccanismi delle aziende è stato ostacolato da quella che è
definibile come carenza di fiducia e da un approccio prettamente ideologico. Secondo
quest’ultimo è dunque necessario attribuire molta importanza al consumatore,
messo sul gradino più alto della piramide, non tenendo, però, in considerazione
la posizione dei produttori e la loro volontà di perseguire l’efficienza nello
sfruttamento degli input. Un approccio, inoltre, che considera come
“eccessivamente costosa” la produzione e la raccolta di informazioni
scientifiche, dato l’ingente investimento iniziale, e che non crede che questa
possa essere d’aiuto ai processi decisionali.
Da un punto di vista economico, è
chiaro che la raccolta di dati possa sembrare onerosa soprattutto nelle fasi
iniziali ma bisogna pur prendere atto della presenza, sempre più
trascendentale, di strumenti informatici all’avanguardia, in grado di rendere
questa operazione nel complesso meno costosa e di ridurre l’impatto unitario di
questi costi. Svolgere un’analisi prospettica nel medio-lungo periodo può
davvero giovare alla situazione finanziaria e patrimoniale dell’azienda visti i
numerosi benefici connessi.
I risultati parlano chiaro: le
emissioni inquinanti nell’atmosfera sono diminuite del 95% dal 1989, così come
le emissioni del gas serra (in Italia ridotte del 62%) ed è stata raggiunta nel
complesso una maggiore “efficienza energetica”.
Date queste considerazioni, può
davvero essere la chimica considerata la nuova chiave del successo? Diventerà
parte integrante della catena di produzione delle aziende moderne? Riuscirà la
chimica a integrarsi con la tecnologia per allargare l’orizzonte dei benefici
futuri, non solo economici? Ci sono grandi aspettative ma c’è ancora molto su
cui lavorare, ma di sicuro la chimica entrerà sempre più negli schemi
aziendali.