Scritto da Noemi Muratore
In occasione del Salone del Mobile di
Milano mi sono recata ad una delle esposizioni del Fuorisalone, l’insieme degli
eventi che si sviluppano in parallelo nel cuore della città. L’installazione
denominata “this will be the place” organizzata da Cassina, azienda italiana di
arredamento, è ospitata presso la Fondazione Giangiacomo Feltrinelli, in una
struttura fatta di vetro e cemento che ha la classica forma di una casa
stilizzata e che sposa perfettamente l’indirizzo architettonico della nuova
Milano. Al quinto e ultimo piano del palazzo, tra le vetrate che si affacciano
sull’Unicredit Tower e una biblioteca piramidale, ho scoperto Kar-a-sutra, la
folle concept car progettata nel 1972 da Mario Bellini su proposta del MoMA di
New York, museo all’interno del quale fu poi esposta. Precursore delle future
monovolume, si tratta di un modello in cui la funzionalità, in questo caso
intesa come abitabilità interna e comunicabilità fra gli utilizzatori, si
accompagna alla fantasia, all’eccentricità, all’anticonformismo.
Nel pieno sviluppo dell’industria
automobilistica, Bellini si oppone alla concezione di una macchina che ci farà
morire, che soffoca le nostre città, che ammorba l’aria e che ci stordisce con
i suoi rumori; ma allo stesso tempo vuole sconvolgere quella che è l’idea
dell’automobile nell’immaginario collettivo, all’interno della quale possiamo
entrare, sederci, fumare, pensare, forse anche leggere, parlare con il
passeggero in fianco, accendere la radio, sbirciare il paesaggio e uscire. Ma
nonostante tutto questo e per tutto questo egli vuole ripensare l’automobile
mettendola in contatto con l’uomo, rendendola uno “spazio umano mobile”, dove
si possa stare comodi, dove ci si possa sdraiare, dormire, sorridersi,
conversare guardandosi, alzarsi in piedi, cambiare posto. Per fare ciò Bellini
non si preoccupa di progettare un’auto più pulita, sicura o silenziosa, bensì
una vettura fatta interamente di acciaio strutturale e vetro, che possa mettere
in contatto i viaggiatori con l'ambiente esterno.
Kar-a-sutra si pone l’obiettivo di
abbattere una realtà in cui gli automobilisti vengono gerarchicamente
classificati in base ai centimetri cubici, al numero di cilindri, ai cavalli,
all’accelerazione da fermo e alla velocità massima, in cui i guidatori si
lasciano troppo facilmente fregare dalle strategie di marketing, per creare una
macchina che sia spazio umano in movimento, che sia spazio per accadimenti più
significativi, che sia mezzo più efficace per la nostra ansia di comunicare e
conoscere.
Qualcuno potrebbe sostenere che in realtà
questa automobile, o per meglio dire questa idea di automobile esiste già e si
chiama roulotte, tuttavia il tratto essenziale che distingue alla base i due
modelli è il concetto, è l’idea, è il fine per il quale sono stati creati. La roulotte
vuole semplicemente riprodurre dovunque ed indifferentemente i riti domestici,
Kar-a-sutra vuole invece sconvolgere, innovare, modificare il nostro modo di
pensare e la nostra concezione di mezzo di trasporto.
“Aperti o chiusi, alti o bassi, si potrebbe
fare il giro del mondo in due, portando tutto fuorché la tenda”.